Come la maggior parte di voi sapranno, la poetessa Patrizia Cavalli ha lasciato la dimensione terrena pochi giorni fa, esattamente il giorno che è iniziata l’estate.

Nell’apprendere la notizia nella rivista che ho letto, ho anche appreso una curiosità che ancora una volta mi ha fatta comprendere e accertare che la stra maggioranza degli autori e artisti che nell’arco degli anni si sono affermati merito le loro grandi qualità, agli inizi quando ancora diciamo erano in erba, hanno sempre avuto delle grandi perplessità sul loro talento ed è anche il caso della poetessa Patrizia Cavalli.
Nel 1968 la poetessa si trasferì a Roma dove iniziò a scrivere i primi versi. Nel mentre conobbe Elsa Morante e da lì tra le due donne nacque una grande amicizia. Continuando a leggere sono venuta a conoscenza che in diverse interviste Patrizia Cavalli avrebbe affermato che il giorno in cui Elsa Morante le chiese: “Ma tu insomma che fai nella vita?” Da quel momento per la poetessa è iniziato un incubo, era terrorizzata che la Morante potesse leggere e giudicare le sue poesie, raccontando che aveva scritto dei nuovi versi da proporre all’amica scrittrice, in un’intervista del Foglio la Cavalli affermava, che per lei all’inizio di questa amicizia fu l’inferno, iniziò a glissare, a non andare più a pranzo con l’amica, non si facceva rintracciare e trovava mille scuse, poi arrivava il giorno che le due amiche si trovavano a pranzo e in quelle occasioni la Morante naturalmente le chiedeva: ma queste poesie? E Patrizia Cavalli ogni volta rispondeva che le stava ricopiando ma in realtà lei non le stava ricopiando ma bensì le stava scrivendo poichè aveva capito che i versi scritti sino all’ora erano orribili, e che erano quanto di meno potesse piacere alla sua amica Elsa.
Sappiamo bene tutti che invece le cose non sono andate come pensava Patrizia Cavalli ma anzi, Elsa Morante fu la prima ad apprezzare le opere della poetessa è fu proprio lei ad alimentare il coraggio necessario a coltivare con cura la sua vocazione poetica.
Voglio omaggiare Patrizia Cavalli con questo suo bellissimo componimento in cui l’autrice confronta presente e passato, facendo i conti con i sentimenti e la corporeità.
Adesso che il tempo è tutto mio Adesso che il tempo sembra tutto mio e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena, adesso che posso rimanere a guardare come si scioglie una nuvola e come si scolora, come cammina un gatto per il tetto nel lusso immenso di una esplorazione, adesso che ogni giorno mi aspetta la sconfinata lunghezza di una notte dove non c’è richiamo e non c’è più ragione di spogliarsi in fretta per riposare dentro l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta, adesso che il mattino non ha mai principio e silenzioso mi lascia ai miei progetti a tutte le cadenze della voce, adesso vorrei improvvisamente la prigione. Quante tentazioni attraverso nel percorso tra la camera e la cucina, tra la cucina e il cesso. Una macchia sul muro, un pezzo di carta caduto in terra, un bicchiere d’acqua, un guardar dalla finestra, ciao alla vicina, una carezza alla gattina. Così dimentico sempre l’idea principale, mi perdo per strada, mi scompongo giorno per giorno ed è vano tentare qualsiasi ritorno. Addosso al viso mi cadono le notti e anche i giorni mi cadono sul viso. Io li vedo come si accavallano formando geografie disordinate: il loro peso non è sempre uguale, a volte cadono dall’alto e fanno buche, altre volte si appoggiano soltanto lasciando un ricordo un po’ in penombra. Geometra perito io li misuro li conto e li divido in anni e stagioni, in mesi e settimane. Ma veramente aspetto in segretezza di distrarmi nella confusione perdere i calcoli, uscire di prigione ricevere la grazia di una nuova faccia. E’ tutto così semplice, sì, era così semplice, è tale l’evidenza che quasi non ci credo. A questo serve il corpo: mi tocchi o non mi tocchi, mi abbracci o mi allontani. Il resto è per i pazzi.
Come mia consuetudine del venerdì, auguro a tutti voi un buon weekend. By Giusy


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