Giusto venerdì scorso anniversario dell’inizio della guerra, nella notte è stata fatta una marcia per la pace partita da Perugia per arrivare ad Assisi davanti alla Basilica di Francesco.
Ciò di cui sono rimasta basita è che di questa marcia non ne abbiano parlato nessuna testata giornalistica, nessun telegiornale o programma televisivo ne abbia fatto neppure un breve accenno, dal mio punto di vista invece credo che sarebbe stato importante esaltarla ancora i giorni prima della sua data, purtroppo per motivi lavorativi non ho potuto inoltrarmi sino a Perugia, zone che tra l’altro conosco direi benino poiché più di una volta mi ci sono recata in ferie.
In tutto questo silenzio attorno alla marcia, ho quasi come avuto l’impressione che la fine della guerra non sia gradita e di certo non parlo del popoli, ma bensì di coloro che li governano, diciamo che se già avevo un certo presentimento a questo proposito, con questo silenzio al riguardo, il mio sospetto oserei dire che è stato confermato e spero tanto di sbagliarmi e che sia e rimanga soltanto una mia più che sgradita sensazione, purtroppo però sulle mie medesime corde lo sembrerebbe anche il giornalista di cui sotto riporto un suo articolo pari pari col rispettivo titolo, il quale ho copiato dalla rivista mensile di “Altreconomia”. La penna è di Lorenzo Guadagnucci giornalista del “Quotidiano Nazionale” e che inoltre sulla rivista mensile sopra citata, cura la rubrica Distratti dalla libertà.
Buona e perché no, anche riflessiva lettura.
L’alba di Assisi è una serie di domande ai sonnambuli d’Italia, d’Europa e del mondo
I governanti del mondo occidentale non accettano né distinguo né mezze misure e parlano un unico linguaggio: più armi all’Ucraina, più guerra, fino alla vittoria sulla Russia. Lorenzo Guadagnucci ha camminato con i “costruttori di pace” da Perugia fino alla basilica di Francesco, diffamati in questi mesi di conflitto. Il suo reportage

L’alba di Assisi è una serie di domande ai sonnambuli d’Italia, d’Europa e del mondo. Domande che hanno marciato per un’intera notte, da mezzanotte alle sei, da Perugia alla basilica di Francesco, sulle gambe di un migliaio di persone: giovani, meno giovani, anche anziani, arrivati a fine marcia con le gambe legnose e le caviglie dolenti ma in piedi, ben svegli e coscienti di avere il diritto e anche il dovere di chiedere conto ai governanti delle scelte compiute, dei risultati ottenuti, se davvero ce ne sono, e del fosco futuro che incombe.
È l’alba del secondo anno di guerra in Ucraina e le domande importanti sono tutte inevase: qual è, dopo tanti morti e tante distruzioni, la via d’uscita politica e diplomatica dal conflitto? Quante altre migliaia di vite siamo disposti a sacrificare prima di impegnarci per un cessate il fuoco, premessa logica di future trattative? Che cosa si intende per “vittoria” al cospetto di un Paese, la Russia, che dispone di migliaia di testate nucleari? Perché mai la guerra in Ucraina dovrebbe differire dalle guerre condotte negli ultimi decenni, sempre finite malamente, mancando tutti gli obiettivi addotti per giustificarle?
Quando la lunga bandiera della pace è arrivata di fronte alla basilica, sorretta da centinaia di costruttori di pace arrivati fino al termine della marcia, Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della pace, ha preso il megafono e rivolto il primo pensiero alle vittime ucraine della guerra: nemmeno sappiamo quante sono, perché la censura militare non ammette deroghe su punti così delicati, ma sappiamo che la guerra è distruzione di vite e di futuro, lo sappiamo per esperienza. Poi ha invitato i presenti a gridare “Cessate il fuoco”, e così è stato: nel cielo ancora scuro di Assisi si è levata questa invocazione, quasi una disperata preghiera, detta però con la coscienza che far tacere le armi è oggi una proposta concreta, realistica e anche necessaria, perché da ogni guerra si esce con un negoziato, e questa guerra non può fare eccezione. Più durano i combattimenti e più difficile sarà trovare forme di futura convivenza fra i paesi in conflitto, non c’è tempo da perdere, anzi ci sono vite da risparmiare.
Eppure sappiamo già che i governanti d’Italia, d’Europa e d’Oltreoceano guarderanno a quest’invocazione e a chi l’ha pronunciata con sufficienza e una punta di non celato disprezzo. I sonnambuli che governano il mondo occidentale -sempre più simili, assai più di quanto siano disposti ad ammettere, ai governanti che portarono l’Europa e poi il mondo al disastro della Grande guerra, oltre un secolo fa, agendo appunto da sonnambuli, per come li ha descritti lo storico Christopher Clark in un suo famoso libro- non accettano né distinguo né mezze misure e parlano un unico linguaggio: più armi all’Ucraina, più guerra; più armi e più guerra fino all’ultimo giorno, cioè fino alla vittoria sulla Russia, ma sempre senza dire che cosa si intenda davvero per “vittoria”.
Quindi un’astrazione, e anche un’illusione, altro che il presunto realismo dei bellicisti, esibito e declamato al cospetto delle aspirazioni dei pacifisti, per definizione “ingenue” e “irrealizzabili”. E guai a eccepire alcunché: ogni dubbio, ogni opinione difforme, ogni domanda impertinente è segno di cedimento, di resa, di collaborazione col nemico e coi suoi crimini. Marco Tarquinio, direttore del quotidiano Avvenire, lo ha ricordato al Palazzo dei Priori di Perugia, nell’incontro pubblico avvenuto prima di mettersi in cammino. “Sono un vecchio giornalista -ha detto -e non ho mai visto, in quarant’anni di carriera, una cornice così chiusa, così ermetica attorno a una guerra. Ancora oggi pomeriggio, nel confronto con una donna politica, sono stato trattato da complice di stupratori e criminali di guerra”. Il fatto è che il giornalismo sta fallendo, anzi ha già fallito, avendo sposato con ardore, nella stragrande maggioranza delle testate, l’impeto bellicista dei governi occidentali. E stanno fallendo la politica, la diplomazia, le relazioni internazionali. Eppure, lo ha ricordato Mario Giro, della Comunità di Sant’Egidio, già viceministro degli Esteri, “tutte le guerre degli ultimi decenni si sono concluse allo stesso modo, con la fuga delle grandi potenze, uscite di scena dopo anni se non decenni di combattimenti e occupazioni, lasciando alle spalle solo distruzione e morte: è successo in Vietnam, in Iraq, in Afghanistan due volte, prima con l’Urss e poi con gli Stati Uniti. E ora i governi occidentali, con il rifiuto della diplomazia, ci stanno portando sul piano inclinato dell’escalation militare: più a lungo si combatte, più diventa difficile uscirne per tutti”.
La Terza guerra mondiale forse è già in corso, l’uso dell’arma atomica una concreta possibilità, la distruzione dell’Ucraina, del suo futuro e della sicurezza in Europa già una realtà presente. Il paradosso è che i costruttori di pace -pur ignorati, vilipesi e derisi- stanno facendo di tutto, anche camminare una notte intera, per chiedere ai politici di fare politica e di farlo con larghezza di vedute e profondità di visione, senza nascondersi dietro il linguaggio delle armi, l’unico ammesso nel devastante anno di guerra che abbiamo alle spalle. Non dormire una notte per chiedere ai potenti di svegliarsi, prima che sia troppo tardi: ecco il senso della marcia Perugia-Assisi di questo tristissimo 24 febbraio.


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