Forse è per l’arrivo delle feste, forse per qualche motivo che non so… fatto sta che la settimana scorsa mi sono sentita un po’ malinconica. Mi è tornato in mente quando, in questo periodo, cominciavo a correre dietro alle liste dei menù: con la moglie di mio cugino e con mia cognata ci si sentiva quasi ogni giorno per decidere cosa preparare. Cambiavamo idea di continuo e alla fine bisognava ricominciare da capo, dividendo di nuovo i compiti tra noi.
Da quel ricordo si è aperto un fiume di pensieri che mi ha portato tanta nostalgia. Perché quando una persona cara se ne va, con lui sparisce anche un intero pezzo di vita, un’epoca che non ritorna. È una consapevolezza che ho dentro di me e provato da tempo, ma che ogni tanto torna a farsi sentire con forza.
In tutto questo vorticare di emozioni e ricordi, come un flash, mi è tornato alla mente un racconto molto bello di un blogger che seguo (non lo posso menzionare perché non gli ho chiesto il permesso e, senza consenso, non lo faccio mai). In quelle pagine che non parlavano solo del tempo che scorre, il tempo era stato descritto come un custode.
“Il tempo è custode” le sue parole. Questa definizione poetica mi ha colpita subito, come una scintilla che accende la riflessione – quante volte, con leggerezza e quasi per abitudine – si ripete o ci è stata ripetuta la frase: “il tempo guarisce, il tempo fa dimenticare”.
Eppure, se ci fermiamo davvero a guardare dentro di noi, ci accorgiamo che il tempo non guarisce affatto. L’anima non si rimargina con il semplice scorrere dei giorni o degli anni. Ci sono sensazioni, ferite, momenti vissuti che restano impressi sulla pelle come cicatrici invisibili: non sanguinano più, ma continuano a pulsare sotto la superficie. E quando riaffiorano, lo fanno con la stessa intensità di allora, come se il dolore, la gioia o lo smarrimento fossero stati provati appena ieri, anche se sono trascorsi decenni da quell’istante.
Il tempo, come raccontava l’autore in sole tre parole, custodisce. Non cancella, non dissolve, ma conserva.
Nel mio immaginario l’ho visto come un archivio silenzioso che raccoglie attimi di vita e li ripone in stanze segrete, pronte ad aprirsi al minimo richiamo. Basta un odore familiare, una parola pronunciata con la stessa inflessione di un tempo, un volto intravisto per strada, e quei frammenti tornano a bussare alla memoria. Ci riportano la stessa emozione, lo stesso dolore, lo stesso smarrimento di allora, e perché no, anche la stessa gioia che avevamo “dimenticato” di aver provato.
Il tempo non è dunque un guaritore, ma un archivista discreto e fedele. Non interviene per cancellare, ma per proteggere ciò che abbiamo vissuto, restituendocelo quando meno ce lo aspettiamo. È un compagno di viaggio che ci scorta lungo il cammino della vita, portando con sé il peso e la luce dei nostri ricordi.
Non è un nemico, non è un avversario da combattere. È piuttosto un guardiano che veglia su di noi, che ci ricorda chi siamo stati e ci mostra quanto siamo cambiati. Occorre imparare a convivere con ciò che conserva, accettando che la memoria non appartiene solo al piano individuale, ma anche a quello collettivo: la storia di un popolo, la cultura di una comunità, le tracce lasciate da chi ci ha preceduto.
Il tempo, in fondo, è il grande tessitore: intreccia fili invisibili tra passato e presente, tra ciò che abbiamo vissuto e ciò che ancora vivremo. Non guarisce, ma ci insegna a riconoscere le nostre cicatrici come parte della nostra identità, a vedere nei ricordi non solo il dolore, ma anche la bellezza di aver vissuto. È stato questo pensiero a ridarmi la forza di riprendermi, di scrollarmi di dosso la malinconia, pensando a chi davvero è rimasto orfano per mille ragioni e purtroppo non possiede il mio bagaglio di momenti vissuti nella gioia e condivisi con i propri familiari.

Il tempo non cancella, stratifica:
sotto ogni giorno vissuto si nasconde la memoria di ieri.
(Marcel Proust)


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