Tracey Emin è una importante artista inglese appartenente agli Young British Artists, significativa voce femminile dell’arte contemporanea, e protagonista della mostra di Palazzo Strozzi fino al 20 luglio 2025.

Di questa artista contemporanea mi ha parlato la mia amica di vecchia data di Sarzana che, per sentito dire, ormai credo conosciate tutti, visto quante volte l’ho nominata. Quando si tratta di artisti, ha una conoscenza approfondita ed è sempre pronta a raccontarmene, suscitando la mia curiosità. Questa curiosità, a sua volta, mi spinge inevitabilmente a fare ricerche sul Web.
La storia di Tracey Emin mi ha profondamente colpita, e ritengo che conoscerla sia essenziale per comprendere le sue opere. Pur essendo un’artista contemporanea, il cui linguaggio non sempre mi risulta immediatamente chiaro, approfondire la sua esperienza personale mi ha permesso di cogliere meglio il significato delle sue espressioni artistiche. Per questo, credo valga la pena parlarne in questo post.
Tracey Karima Emin nasce il 13 luglio 1963 a Croydon, un quartiere di Londra, da padre turco-cipriota e madre inglese di origine Romnichal, un gruppo Rom stanziatosi nel Regno Unito a partire dal XVI secolo. Cresce a Margate, una cittadina costiera del Kent in Inghilterra, dove trascorre un’infanzia segnata da difficoltà economiche e traumi personali. Margate, con le sue spiagge battute dal vento e il suo fascino decadente, lascia un’impronta indelebile nell’immaginario dell’artista. All’età di tredici anni, subisce una violenza sessuale che influenzerà profondamente la sua arte. Questo evento traumatico diventa una delle chiavi interpretative della sua produzione artistica: il corpo femminile, ferito ma resiliente, emerge come tema centrale nelle sue opere.


All’età di quindici anni, Tracey Emin decide di lasciare la sua casa, segnando l’inizio di un percorso caratterizzato da ribellione e autodeterminazione. Questo gesto rappresenta non solo una rottura con il contesto familiare, ma anche il primo passo verso la definizione della sua identità artistica. Nonostante la fuga, Margate rimane per Emin un luogo carico di significato e, anni dopo, vi farà ritorno per fondare i “TKE Studios”, uno spazio dedicato alla crescita di artisti emergenti. Il suo forte legame con le radici dimostra come un’infanzia turbolenta non sia stata soltanto motivo di sofferenza, ma anche un’importante fonte di ispirazione creativa.
La sua formazione artistica è caratterizzata da un percorso non lineare, ma estremamente ricco di esperienze. Dopo aver inizialmente studiato moda al Medway College of Design, abbandona questo ambito per dedicarsi all’arte visiva presso la Sir John Cass School of Art. Successivamente, si diploma in Belle Arti al Maidstone College of Art e prosegue gli studi al prestigioso Royal College of Art di Londra, dove si specializza in pittura nel 1989, con una tesi dedicata al suo idolo Edvard Munch.
Negli anni Novanta, la sua carriera pittorica subisce una brusca interruzione a seguito di due aborti traumatici, eventi che lasciano un segno profondo nella sua vita personale e artistica. In risposta al dolore, l’artista compie un gesto radicale: distrugge gran parte delle sue opere pittoriche precedenti e abbandona temporaneamente la pittura, per esplorare nuove forme espressive come il ricamo, le installazioni e i video. Questo momento rappresenta una svolta cruciale nella sua evoluzione creativa: l’allontanamento dalla pittura non è una rinuncia definitiva, ma piuttosto una pausa necessaria per ridefinire il proprio linguaggio artistico e ampliare il suo repertorio espressivo.
Durante questo periodo, Tracey Emin crea opere emblematiche, tra cui “Everyone I Have Ever Slept With 1963–1995”, una tenda al suo interno ricamata con i nomi delle persone con cui ha condiviso il letto, sia in senso letterale che metaforico. Quest’opera, divenuta iconica, segna l’inizio della sua fama internazionale e testimonia la sua straordinaria capacità di trasformare esperienze intime in potenti dichiarazioni artistiche, sfidando le convenzioni e invitando il pubblico a riflettere sulla natura delle relazioni umane.
L’opera sopra citata fu realizzata dall’artista nel 1995 e consisteva appunto in una tenda da campeggio blu. Su di essa, l’artista aveva cucito, utilizzando la tecnica dell’appliqué, i nomi di tutte le persone con cui aveva condiviso un letto, dalla sua nascita fino a quel momento. È importante sottolineare che il titolo dell’opera è spesso frainteso: non si riferisce esclusivamente a rapporti sessuali, ma include chiunque abbia semplicemente dormito nello stesso letto con lei, tra cui familiari, amici e amanti.
La tenda, quindi, diventava un luogo simbolico, una sorta di santuario intimo che racchiudeva i ricordi e le relazioni dell’artista. I nomi erano cuciti con fili colorati diversi, creando un patchwork visivo che rifletteva la complessità e la varietà delle sue esperienze. L’interno della tenda era illuminato, invitando lo spettatore a entrare fisicamente nello spazio e a confrontarsi con la storia personale di Emin. L’opera sollevava interrogativi sul concetto di intimità, sulla sessualità femminile e sulla relazione tra arte e vita e non a caso, fu un’opera piuttosto discussa.
La scelta di utilizzare una tenda da campeggio non era casuale: essa rappresenta un rifugio temporaneo, un riparo dalla realtà esterna. Allo stesso modo, l’opera di Emin offriva uno sguardo intimo sulla sua vita, mettendo in luce vulnerabilità e fragilità. Inoltre, la tenda evoca l’idea di nomadismo e viaggio, suggerendo un percorso esistenziale in continua evoluzione.
Nel 2004, un incendio in un magazzino di Londra distrusse questa installazione, una perdita dolorosa per Emin, che la considerava fondamentale per la sua storia personale e artistica. Sebbene l’artista abbia dichiarato di non volerla ricreare, l’opera continua a vivere nell’immaginario collettivo come simbolo della sua arte e delle sue esperienze intime trasformate in espressioni universali.

Nel 1998, Tracey Emin sconvolge il mondo dell’arte con My Bed, un’opera che diventa il manifesto della sua poetica. Più di una semplice installazione, il letto sfatto dell’artista diventa una cruda testimonianza di un periodo di profonda crisi personale, segnato da depressione e abuso di alcol. Lenzuola stropicciate, bottiglie vuote, mozziconi di sigaretta e indumenti intimi abbandonati compongono un ritratto di vulnerabilità senza filtri, trasformando il disordine quotidiano in un potente atto di confessione. Esibita alla Tate Gallery nel 1999 come finalista al Turner Prize, l’opera divide il pubblico: alcuni la celebrano per la sua intensità emotiva, altri la deridono, mettendo in discussione la sua natura artistica. Al di là delle polemiche, My Bed consacra Emin come una delle voci più audaci e autentiche dell’arte contemporanea, capace di trasformare la propria esistenza in un linguaggio universale.
My Bed va oltre la dimensione autobiografica: si trasforma in una riflessione universale sulla condizione umana. Il letto, spazio di intimità e vulnerabilità, diventa simbolo dei momenti fondamentali della vita – nascita, morte, amore e dolore – racchiudendo in sé l’essenza dell’esistenza.

Uno degli aspetti distintivi dell’arte di Tracey Emin è l’uso del neon per dare forma visiva ai suoi pensieri, riproducendo la sua scrittura manuale. Questo mezzo le consente di trasformare emozioni intime in dichiarazioni luminose, potenti ed evocative. Le sue frasi al neon, spesso concise ma profondamente cariche di significato, includono opere emblematiche come “I Never Stopped Loving You” (2010) – Non ho mai smesso di amarti, dedicata a Margate, “Those Who Suffer LOVE” (2009) – Coloro che soffrono Amano – e “Sex and Solitude”, – Sesso e solitudine – creata per la mostra di quest’anno a Palazzo Strozzi, Firenze.
Per Tracey Emin, il neon è un mezzo espressivo che unisce fragilità e forza: le sue luci catturano l’attenzione, mentre le parole rivelano emozioni profonde e intime confessioni. La scrittura manuale conferisce autenticità alle opere, contrastando con la freddezza del materiale. Le frasi al neon non sono semplici slogan, ma frammenti poetici che invitano alla riflessione emotiva, creando un legame diretto tra l’artista e il pubblico. Emin, cresciuta tra le insegne luminose di Margate, ha sempre percepito il neon come un’energia pulsante, capace di influenzare l’umore e trasmettere vitalità. Per lei, il neon è più di un materiale: è luce, movimento e bellezza, un elemento vivo che continua a ispirare la sua arte.

dal WebTracey Emin, Sex and Solitude Foto: OKNO Studio© Tracey Emin. All rights reserved, DACS 2025.
Tracey Emin ha sempre dichiarato una profonda ammirazione per artisti come Edvard Munch ( pittore che senz’altro più di ogni altro anticipa l’espressionismo) ed Egon Schiele (influente artista dell’Espressionismo austriaco, noto per le sue opere provocatorie e audaci), dai quali trae ispirazione sia sul piano tecnico che tematico. Come loro, anche Emin esplora temi legati alla vulnerabilità umana attraverso rappresentazioni intense del corpo e delle emozioni.
In un’intervista ad Arturo Galansino, l’artista ha raccontato che durante gli anni al Royal College of Art, spesso visitava la National Gallery, dove disegnava icone e prendeva appunti. Questo le ha permesso di ampliare la sua conoscenza della pittura e della storia dell’arte, passando dall’Espressionismo e dall’arte europea prebellica alla comprensione dei classici. Ha dichiarato di aver imparato da sola, approfondendo solo l’arte che la affascinava.
Nel 1996, Tracey Emin ha dato vita a una delle sue opere più emblematiche: “Exorcism of the Last Painting I Ever Made” (“Esorcismo dell’ultimo dipinto che abbia mai fatto”). Questa performance segna un punto di svolta nella sua carriera, poiché rappresenta il ritorno alla pittura dopo un lungo periodo di interruzione. L’opera si sviluppa in una esibizione della durata di tre settimane e mezzo, durante le quali Emin vive e lavora nuda all’interno di uno studio temporaneo concepito come un’installazione artistica. Lo spazio è aperto al pubblico, offrendo ai visitatori l’opportunità di osservare l’artista mentre realizza disegni e dipinti ispirati a grandi maestri dell’arte, tra cui Egon Schiele, Yves Klein e Pablo Picasso.
L’artista, attraverso la sua nudità, non si limita a un’esposizione fisica, ma si mette a nudo anche emotivamente, trasformando il proprio corpo in soggetto e oggetto dell’opera. Questo gesto rompe gli schemi tradizionali dell’arte, dove la donna è spesso relegata a musa passiva, e la pone al centro di una narrazione attiva, in cui affronta sia i propri demoni interiori che le convenzioni culturali limitanti.
L’installazione non è solo un documento del suo processo creativo, ma rappresenta anche un momento di intensa introspezione. Attraverso la pittura, Emin si riconnette con sé stessa e il proprio vissuto, trasformando un’esperienza profondamente personale in una riflessione più ampia sul potere dell’arte come mezzo di guarigione e autoaffermazione. Quest’opera resta una pietra miliare della sua carriera, dimostrando la sua capacità di intrecciare arte e vita in modo indissolubile.

La pittura occupa un ruolo centrale nella produzione artistica di Tracey Emin, permettendole di esplorare temi profondamente personali come il corpo, la sessualità, l’amore, la solitudine e il dolore. Sebbene utilizzi anche installazioni, ricami e neon, la pittura resta per lei un mezzo espressivo fondamentale, attraverso cui trasforma esperienze intime in immagini potenti ed evocative. Emin descrive la pittura come un’esperienza quasi trascendentale, un mondo a parte che le consente di connettersi con la sua creatività più pura.

Il suo approccio pittorico è istintivo e gestuale, caratterizzato da pennellate rapide, colature di colore e una forte materialità che riflette il suo interesse per il corpo umano nelle sue imperfezioni e vulnerabilità. Le sue opere combinano figurazione e astrazione, creando un equilibrio dinamico tra rappresentazione e suggestione, lasciando allo spettatore spazio per l’interpretazione. Anche il colore gioca un ruolo chiave, con tonalità audaci e contrastanti – rosso, nero, blu e bianco – spesso impiegate per esprimere emozioni intense come passione, dolore e rabbia. Tra i suoi dipinti più significativi si trovano *Hurt Heart* (2015), “It was all too Much” (2018), “There was blood” (2022) e “I waited so Long” (2022), testimonianza della sua capacità di intrecciare arte e vita in modo profondo e personale.

Tracey Emin esplora il tema dell’amore in tutte le sue sfaccettature, intrecciandolo con esperienze personali e rappresentandolo nella sua complessità emotiva. Opere come “I Want My Time With You” (2017), un neon installato nella stazione di St Pancras International, trasformano il sentimento amoroso in dichiarazioni visive potenti, amplificandone il significato universale.
Nei suoi ricami, Emin affronta l’amore con una delicatezza che contrasta con l’intensità delle emozioni rappresentate, utilizzando tecniche tradizionalmente legate all’artigianato femminile per sovvertire le convenzioni culturali. Anche le sue sculture in bronzo esplorano il corpo umano come luogo di connessione emotiva e fisica, combinando vulnerabilità ed erotismo. Attraverso queste diverse forme espressive, Emin cattura le contraddizioni dell’amore, tra gioia e sofferenza, intimità e distanza.
Tracey Emin è oggi considerata una delle artiste più influenti dell’arte contemporanea, ma il cammino verso il successo internazionale è stato ricco di sfide. Dopo essersi affermata negli anni Novanta all’interno del movimento dei Young British Artists (YBA), ha proseguito il suo percorso evolutivo, consolidando il suo ruolo di spicco nel panorama artistico mondiale.
Nel corso degli anni, Tracey Emin ha ricevuto numerosi riconoscimenti e onorificenze. Nel 2011 è stata nominata “Professor of Drawing” presso la Royal Academy of Arts, diventando la seconda donna nella storia dell’istituto a ricoprire questo prestigioso incarico. Le sue opere sono state esposte in rinomate istituzioni internazionali, tra cui il MoMA di New York, il Louvre di Parigi e il Munch Museum di Oslo. Nonostante la fama globale, Emin mantiene un forte legame con le sue radici britanniche, continuando a lavorare tra Londra e Margate.
Tracey Emin rappresenta una figura simbolica nella lotta per l’affermazione delle donne nell’arte contemporanea. Sin dagli esordi, ha sfidato le convenzioni che tendono a relegare le artiste a ruoli marginali, affermandosi con una produzione che fonde autobiografia e confessione personale. Attraverso le sue opere, rivendica il controllo della propria narrazione artistica, trasformandosi in protagonista attiva del suo percorso creativo.
“L’arte”, sostiene Tracey Emin, “dovrebbe sempre riguardare ciò che è vero per te come individuo, sempre. Dovrebbe essere sincera e nascere da un desiderio genuino di trovare le proprie risposte. Almeno, per me è così. Per molto tempo il mio lavoro è stato assolutamente fuori moda. Ma non m’importava, perché sapevo che era la cosa giusta per me”.


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